“Giornata della memoria e difesa dell’infanzia negata nei Lager”
La decisione di organizzare la Giornata della memoria attraverso le immagini e la difesa dell’infanzia negata nei Lager nazisti, la considero una delle più sincere manifestazioni di interesse verso una ricorrenza che molti provano a rimuovere dalla coscienza collettiva anche alimentando lo spettro di una informazione deviata ad uso e consumo dei vincitori.
Un po’ quello, questa la prima riflessione che vorrei fare, che accade in questi giorni nel dualismo tra informazione e fake news alimentate dalla non conoscenza della storia e dei percorsi della scienza.
La storia ci dice che il numero delle vittime dell’Olocausto, infatti, è stato purtroppo anche di circa un milione e mezzo tra bambini e ragazzi ebrei e non, spesso oggetto di esperimenti, torture e altre brutalità indescrivibili.
E qui mi piace riprendere i percorsi di chi ha guardato dietro gli accadimenti tragici cercando di capire le ragioni di quanti sostenevano l’attendibilità della superiorità della razza italiana e ariana sulle altre in base a millantate teorie scientifiche, (ecco la seconda considerazione e similitudine con i giorni nostri) a cui anni dopo hanno fatto seguito molti tentativi di rinnegare quelle stesse adesioni.
Dinamiche storiche e sociali che oggi paiono quanto mai meritevoli di ulteriori riflessioni: la strumentalizzazione politica del tema – spesso sottolineato da Umberto Eco – del definire un nemico comune per riconoscersi in un’identità culturale, la volontà manifesta di educare all’odio, gli scienziati e la scienza al servizio della politica, l’autorità culturale piegata alla volontà del potere.
Ancor più drammatico il racconto fatto, qualche tempo fa da Ionne Biffi sugli accadimenti nel Lager di Gusen. “Un deportato Italiano di Gusen, Angelo Signorelli, raccontò che, durante la sua deportazione, vide sfilare nel campo una colonna di bambini dai quattro ai sette anni circa con le manine alzate. Infatti, una triste cronaca racconta che, alla fine di febbraio 1945 giunsero a Gusen 420 bambini ebrei, dai quattro ai sette anni di età, totalmente deperiti. Nel corso dell’inaugurazione del percorso “Audioweg” in lingua italiana, si apprese dalla voce di una abitante del luogo, testimone oculare, che tanti bambini furono infilati dai nazisti in sacchi di iuta e lanciati contro un muro, fino alla loro morte.
Bambini – proseguiva la Biffi – ai quali fu negata l’infanzia e, purtroppo,
anche la vita. La guerra è un’onda devastatrice, non colpisce tutti allo stesso
modo ma tutti quelli che la incontrano devono fare i conti con essa. “Anche a
me, – scrive la Biffi – in quanto figlia di deportato deceduto nel 1945, è
stata negata l’infanzia e credo che il mio racconto possa presentare analogie
con le memorie di tutti i bambini che persero il padre in simili circostanze.
Le memorie private vogliono ricordare gli affetti perduti e la conseguente
inesorabile modifica della quotidianità, descrivono le sofferenze di cui non
c’è traccia nei libri.
Sono nata a Sesto San Giovanni nel periodo della seconda guerra mondiale e ho
trascorso i primissimi anni di vita godendo dell’affetto dei miei genitori. Due
persone assolutamente per bene che, trovandosi quotidianamente in difficoltà
proprio a causa della guerra, decisero, come tante altre persone, di non
restare passive ma di portare il loro contributo personale al bene comune.
Erano consapevoli che questa scelta avrebbe anche potuto avere conseguenze
devastanti per la nostra famiglia.
E così fu”.
La Biffi, con un linguaggio crudo e sincero spiegò il disagio vissuto dai tanti bambini vissuti con quel peso sulle spalle.
“Impiegai anni a elaborare i miei sentimenti e poi capii. Capii, capii quanto grande e generosa era stata la decisione di papà di impegnarsi a favore di una causa nobile che voleva ridare la perduta dignità all’Italia e agli Italiani. Intraprese una lotta impari e diede la vita. Ma il suo sacrificio, unito a quello di tutte le persone che lottarono con lui, donò i valori della libertà e della democrazia alla nostra Patria”.
Mai vergognarsi di urlare il sentimento di ribellione e di difesa di quelle identità violate di cui l’Unicef si fa portatrice in questa triste ricorrenza a memoria della stoltezza di taluni comportamenti umani.