Il particolato atmosferico può favorire la diffusione aerea del Covid-19 nei luoghi chiusi: ricerca Unibas pubblicata su rivista internazionale
I risultati sul “Bulletin of Atmospheric Science and Technology”
Il particolato atmosferico può favorire la diffusione aerea del Covid-19 nei luoghi chiusi: è quanto emerge da uno studio realizzato dal professor Paolo Di Girolamo, docente nella Scuola di Ingegneria dell’Università della Basilicata, e pubblicato sulla rivista scientifica “Bulletin of Atmospheric Science and Technology”. Nella ricerca sono stati analizzati i dati epidemiologici e di inquinamento da particolato nelle 110 provincie italiane durante la prima ondata della pandemia. Nello specifico, è stata eseguita un’analisi statistica per correlare il tasso di infezione e mortalità, nonché il tasso di mortalità tra i contagiati, con le concentrazioni del particolato atmosferico di tipo Pm10.
Durante la prima ondata pandemica gran parte delle province delle regioni del Nord, soprattutto quelle che si affacciano sulla Pianura Padana, hanno subito gravi conseguenze in termini di contagi e vittime. In queste regioni elevati livelli di Pm2.5 e Pm10 sono stati osservati nei due mesi che hanno preceduto l’inizio della pandemia, con i livelli di rischio per queste due inquinanti superati in 20-40 giorni nel periodo tra Gennaio e Febbraio 2020 in molte aree della Pianura Padana, lì dove si sono registrati gli effetti più importanti in termini di infezione e vittime.
Lo studio evidenzia come il tasso di mortalità tra i contagiati risulti correlato alla concentrazione dei Pm10, con un coefficiente di correlazione pari a 0.89 e una pendenza della retta di regressione che testimonia un raddoppio del tasso di mortalità dei pazienti infetti (da 3 al 6%) per un aumento medio della concentrazione di Pm10 da 22 a 27 μg/m3.
L’inquinamento da particolato può avere un impatto diretto sul sistema respiratorio umano o agire come vettore per il virus, comportandosi così come potenziale fattore amplificante nella diffusione pandemica del Sars-Cov-2. Di fatto, il particolato atmosferico, cioè le particelle solide o liquide di origine naturale o antropica, possono favorire la trasmissione aerea del virus, veicolando il virus nelle vie aeree dell’uomo. La trasmissione aerea rappresenta un importante potenziale canale di contagio, a integrazione dei più comuni meccanismi legati al contatto diretto con superfici infette e alla veicolazione via goccioline (“droplets”), soprattutto da parte dei pazienti asintomatici e negli ambienti chiusi.
Le particelle esalate durante il respiro e la conversazione sono molto più piccole delle goccioline emesse con i colpi di tosse o gli starnuti ed hanno quindi tempi di permanenza in atmosfera molto più lunghi e sono quindi in grado di percorrere distanze molto maggiori, nell’ordine della decina di metri. Di fatto, le particelle esalate con il respiro e la conversazione possono coagulare su una particella inquinante sospesa, così consentendo l’accumulo sulla medesima di un quantitativo di virus potenzialmente sufficiente a indurre l’infezione. A tal riguardo, lo studio illustra anche i risultati di un modello microfisico in grado di simulare i processi di coagulazione tra particelle atmosferiche, fornendo una valutazione quantitativa del ruolo dei diversi meccanismi di collisione coinvolti (diffusione browniana, flusso laminare, fluttuazioni turbolente, forze gravitazionali e di resistenza). I risultati del modello hanno consentito di valutare il potenziale importante ruolo svolto dalla trasmissione aerea veicolata dal particolato inquinante nel convogliare il virus Sars-Cov-2 nel sistema respiratorio umano. Nello specifico è stato evidenziato come, in circostanze specifiche che possono verificarsi in ambienti interni, il numero di particelle potenzialmente infette esalate dall’uomo che coagulano sulle particelle Pm2.5 e Pm10 possa superare la dose minima per attivare l’infezione da Sars-Cov-2 negli esseri umani.
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